Si farà, non si farà? Nascerà un nuovo governo o saremo costretti a tornare subito alle urne, già prima dell'estate? E con quali conseguenze per la tenuta economica del Paese? Gl'interrogativi al momento non trovano risposta. In giro, ad una settimana essata dal voto, c'è tanta confusione e nessuna delle ipotesi sin qui messe in campo sembra essere in grado di coagulare attorno a se una maggioranza di consensi. L'accordo di programma proposto da Bersani al Movimento Cinque Stelle, un giorno si e l'altro pure viene respinto dagli stessi grillini, sovente anche a male parole. E' più che probabile dunque che non se farà nulla e pertanto il tanto decantato modello siciliano verrà presto, molto presto accantonato. Nè pare al momento concretizzabile un'operazione scilipotesca ai danni del M5S tale da garantire quella transumanza di parlamentari necessaria a raggiungere numeri certi sopratutto al Senato per dar vita in tal modo ad una maggioranza tra piddini e transfughi grillini. Ipotesi da fantascienza. Lo stesso Grillo ha chiamato a raccolta i suoi in maniera categorica oltre che da duce in pectore: chi cambierà casacca, sarà preso a calci in culo. E' assai probabile quindi che il mercato delle vacche non abbia mai luogo e pertanto il Pd a quel punto o guarderà altrove (al Pdl, a chi altri sennò?) oppure dovrà orientarsi per un ritorno immediato alle urne. Terzium non datur. Nel merito il partito di Bersani è spaccato. C'è chi si dichiara cautamente aperturista nel nome dell'interesse nazionale, chi invece si ostina a dichiararsi e mostrarsi refrattario a qualsiasi tipo di accordo con l'arcinemico Berlusconi. Meglio alle urne che piuttosto un nuovo patto suicida col Cavaliere. E' questo il refrain di moda tra i giovani turchi alla Fassina la cui ostinatezza e ascendenza sul capo sembrano nettamente prevalere rispetto a quanti invece un patto col diavolo Silvio sarebbero disposti a sottoscriverlo pur di salvare il Paese da un'inesorabile declino. Stando cosi le cose, la via del ritorno alle urne sembra essere pertanto l'unica strada ad oggi concretamente percorribile. Tuttavia non è affatto una prospettiva rassicurante, posto che la situazione finanziaria ed economica richiederebbe invece un governo forte, coeso e sostenuto da una maggioranza politica numericamente consistente. Ma le elezioni hanno prodotto questo casino ed è in mezzo a questo casino che Napolitano tra una settimana si appresterà a dare le carte. Costituzione alla mano, il mazziere è infatti lui. Una cosa è certa: il Presidente della Repubblica non scioglierà le Camere. Non puo' piu' farlo essendo già entrati nel semestre cosiddetto bianco. Cercherà dunque una soluzione alternativa al voto. Quale, vedremo. A Napolitano non piacciono soluzioni facili o demagogiche. Non piacciono i governi cosiddetti di scopo, di minoranza o di transizione. Non a caso l'aperuta di Bersani a Grillo gli è andata di traverso e non ha fatto nulla per nasconderlo. Per questo è probabile che spenderà tutta la sua autorevolezza per spingere il suo partito di provenienza, appunto il Pd, verso l'unica soluzione realmente praticabile: aprire definitivamente ad un governo se non proprio di larghe intese comunque tecnico e sostenuto anche dal Pdl. E' vero il Pd non ne ha bisogno. Il Paese invece si. E questo Napolitano lo sa bene.
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