giovedì, agosto 31, 2017

Io e il mare, un libro che forse mai scriverò.

Semmai un giorno dovessi decidermi a scrivere un romanzo, il titolo non potrebbe che essere questo: Io e il Mare. Forse non sarà tanto originale e magari è stato già utilizzato da qualche altro scrittore. Chissà. Fatto sta che non riesco proprio ad immaginarne un altro per questo mio ipotetico esordio letterario. Non è che voglia scimmiottare  Hemingway traendo spunto dal suo celebre "Il Vecchio e il Mare" tanto per sentirmi un grande e autocelebrarmi tra i grandi prima ancora di aver scritto la prima parola, anzi la prima vocale di questo mio primo e per il momento fantastico libro. Per carità, non equivocate. Fantastico non intendetelo nel senso di eccezionale, straordinario, un capolavoro insomma, ma nel senso che per adesso questo mio libro è solo presente nelle mie fantasie, nel mio farneticare fantasioso, sebbene non sia propriamente un chiodo fisso ma un'idea appunto fantastica che solo sporadicamente spunta, emerge tra i miei mille pensieri tutti rigorosamente fantastici. A me piace sognare. Mai ho smesso di farlo. Spesso sogno ad occhi aperti e quello di scrivere un libro è appunto un sogno che mi accompagna sin da ragazzino. Sogno che probabilmente resterà tale per sempre, considerato che la scrittura come mestiere è innanzitutto fatica ed io per indole sono invece uno sfaticato. Non mi immagino infatti a scrivere metodicamente, tutte le mattine, tutti i pomeriggi o tutte le sere. Scrivere, per quanto mi riguarda, non può essere una professione (a meno che non fai il giornalista, ma quello è un altro mestiere), non può essere un esercizio ripetitivo, una forzatura, una costrizione. Scrivere è  passione che si esercita solo quando si accende ed essa si accende sempre da sola. Non puoi stabilire tu, come e quando. Arriva all'improvviso e tu devi semplicemente assecondarla. Io la vivo cosi e non riesco a viverla diversamente. E' la risposta ad un bisogno interiore, non un obbligo dettato da un desiderio come può essere appunto quello di scrivere un libro. Scrivi perchè ti va di scrivere. Perchè hai bisogno di scrivere. Perchè senti di scrivere. Perchè hai qualcosa che vuoi far sapere agli altri. Vuoi condividerla con gli altri. Oppure no. Scrivi solo per te stesso e ti basta cosi. 
Ma intanto, nell'attesa che la voglia di faticare scrivendo si impossessi di me, mi sono già portato avanti con il lavoro scegliendone il titolo. Direte: è come costruire una casa partendo dal tetto. Non regge. Vero. Nella realtà è cosi (e infatti non diventerò mai uno scrittore). Ma nei mondi fantastici no. Li non esistono regole precise, tutto può accadere, anche la fisica può seguire leggi particolari diverse e contrarie da quelle scoperte dalla scienza. Nella fantasia, la famosa mela di Isaac Newton può anche non cascare per terra ma salire in alto una volta liberata dalla mano che la tiene, come se la legge di gravità funzionasse al contrario o come se non esistesse affatto. Per cui può benissimo accadere, nel mondo fantastico, che una casa venga costruita partendo appunto dal tetto, cosi come potrebbe esistere un libro già con la copertina e il titolo ma senza pagine. Ci sta. Regge. E' possibile.
Qualcuno obietterà: si ma per scrivere un libro occorre innanzitutto saper scrivere. A parte il fatto che ho letto libri, di autori piu' sconosciuti di me, da far rabbrividire sotto il profilo stilistico, sintattico e a volte fin'anche grammaticale. Ma che c'entra? Stiamo parlando di sogni. Non importa quanto sei bravo o capace. L'importante è sognare. O volete impedire ad un bambino di immaginarsi autore di un goal capolavoro, di un dribbling ubriacante, di una rovesciata incredibile anche se non si chiama Leo e di cognome non fa Messi?
Vi starete chiedendo: ma perchè proprio questo titolo, perchè "Tu e il Mare"? Non è facile da spiegare in poche parole.  Ci vorrebbe appunto un libro. Per il momento accontentavi di questo: è sera, dopo cena, seduto sul balcone in pantaloncini e a petto nudo (fa ancora caldo), fumando una sigaretta scruto l'orizzonte scuro di fronte a me, ma non vedo il mare. E non c'entra il fatto che siamo a fine agosto e sta per arrivare settembre, il mese del mare piu' bello dell'anno. No. Non solo. E' che la vista del mare a me manca anche d'inverno.
Scrivo per sconfiggere l'angoscia dettata da questa assenza. Non so neanche se pubblicherò queste quattro righe sul mio blog. Non so se ne valga la pena. Ma se le state leggendo, vuol dire che l'avrò fatto. E sapete perchè? Perchè probabilmente nel momento in cui le ho pubblicate (in pausa pranzo), seduto al tavolino di un bar a mangiare un'insalata, stavo nuovamente pensando al mare. 

giovedì, agosto 24, 2017

Quegli occhi impauriti a Piazza Indipendenza

Un momento dello sgombero di Piazza Indipendenza
Roma - Ero li stamattina. Stavo per arrivare al lavoro quando a pochi metri dal mio ufficio, sotto i miei occhi, si è scatenata la guerriglia. Lancio di oggetti contro i poliziotti, bottiglie, bastoni, bombole di gas, sacchi di plastica pieni di non so che, le cronache raccontano anche dell'utilizzo da parte dei manifestanti di spray urticanti e di peperoncino. In assetto antisomossa i celerini hanno badato solo a difendersi. Con il manganello sempre abbassato, mai alzato neanche a mo di semplice minaccia. Hanno azionato soltanto un potentissimo idrante e con l'aiuto di spruzzi violenti simili a frustrate sono riusciti lentamente a sgomberare la piazza. Dove da sabato scorso erano accampati un centinaio, i piu' resistenti, dei circa 400 rifugiati evacuati da uno stabile enorme, un palazzone di otto piani, un tempo adibito ad uffici, che si affaccia appunto su Piazza Indipendenza ad un tiro di schioppo dalla stazione Termini. Erano li da quasi quattro anni, queste povere anime, molti tra loro richiedenti asilo. Una presenza ormai familiare per tutti quelli che lavoriamo in via Curtatone. Una presenza tuttosommato discreta, con quell'andirivieni pacifico di immigrati tutti di colore, tutti ben vestiti, nessuno con la parvenza da straccione, tutti con il telefonino, qualche bella ragazza, come si dice a Roma, "acchittata" alla stessa stregua delle coetanee occidentali, alcuni addirittura automuniti sebbene grazie all'applicazione da cellulare denominata "scanner veicoli" che legge la targa dei mezzi e ti dice se è tutto in regola, con un collega un giorno, quasi per gioco ma soprattutto per curiosità, scoprimmo che in regola quei mezzi proprio non lo erano, essendo risultati tutti sprovvisti di assicurazione e in forte arretrato con il pagamento del bollo. E va be, ci siamo detti, siamo in Italia, lo fanno molti nostri connazionali, perchè negare queste opportunità fuorilegge proprio ai nostri ospiti?
Non so i motivi per cui dopo quattro anni lo Stato Italiano si sia deciso a sgomberarli da quel che era ormai diventato una sorta di casermone, con bagni in comune nei piani, stanze lunghe e strette adibite a camerette, senza balconi, solo finestre. Pare ci siano anche motivi relativi alla sicurezza tenuti ovviamente top secret. Chissà. Fatto sta che oggi  non ho avvertito l'odore acre e pungente, talvolta anche stomachevole, che puntualmente all'ora di pranzo ogni giorno esalava dal palazzone di fronte invadendo il mio ufficio dopo essere stato sprigionato da alimenti evidentemente cucinati con un abbondante sovraccarico di spezie. I nostri "vicini" non c'erano piu'. E non ci saranno mai piu'. Sgomberati.
Mentre scrivo questa nota sulla metro di ritorno dal lavoro, il mio pensiero non va tanto al giovane immigrato che, benchè claudicante, con le stampelle tentava di tenere a bada i celerini. E non va neanche a quella vecchietta inginocchiata per terra nel tentativo di arrestare l'avanzata del blindato munito di idrante che in un veloce flashback mi ha fatto ritornare in mente lo studente di Piazza Tienanmen davanti al carro armato. No, il mio pensiero è rivolto ai bambini (si, c'erano anche molti bambini) che nel frattempo, in una via laterale a Piazza Indipendenza, venivano fatti salire a bordo di un pullman assieme ai loro genitori con destinazione, a noi e forse anche a loro, ignota. Occhi impauriti, tristi, sconsolati, disorientati. Bambini che stavano per lasciare per sempre quella che tuttosommato era stata per quattro anni la loro casa quantunque si concentrasse in una stanza di due metri per tre. Chissà dove li sistemeranno, semmai li sistemeranno davvero. Forse li ammasseranno in uno di quei molti centri di accoglienza disseminati lungo la Penisola ma già stracarichi di disperati e pronti ad implodere. Di sicuro, non avranno, quantomeno nell'immediato, un alloggio confortevole, nè la vita dignitosa che i loro genitori, scappando dall'Africa, dalle guerre e dalla povertà sognavano per loro, cioè per i figli, ma anche per se stessi. Che Dio, Allah e tutti gli Dei dell'universo li proteggano. Auguriamoci che non siano oggetto, o vittime, fate voi, di ulteriori sfratti.
Purtroppo è questa una triste realtà: non siamo preparati ad accoglierli adeguatamente. Non possiamo accoglierli tutti. Non sappiamo dove accasarli, nè tantomeno siamo in grado di offrire loro lavoro, sicuro, garantito, onesto, assicurato. Proprio quelli di Via Curtatone li vedevi stazionare, seppure in grande tranquillità, davanti la piazza, nullafacenti, probabilmente "mantenuti" grazie alle 30 euro giornaliere garantiti loro dallo Stato. Non è questa una giusta accoglienza.
Non basta lo spirito cristiano e caritatevole di Papa Francesco a risolvere il problema, che, visti i numeri (i 400 di via Curtatone ne sono solo un'infinitesima parte), è un'emergenza enorme, senza soluzione immediata. E' vero, in Francia e in Germania, cosi come in Inghilterra, vi sono molti piu' immigrati che in Italia. Ma li sono arrivati scaglionati nel tempo, nei decenni, addirittura nei secoli. No, qui da noi stanno arrivando tutti in una volta e nessuno in Europa li vuole, alzano muri e barriere, chiudono le frontiere, le militarizzano per impedirne il passaggio sul loro territorio. E questi disperati alla ricerca dell'Eldorado europeo approdati in Italia sono già centinaia di migliaia e rischiano di diventare milioni se non si riuscirà a bloccare gli sbarchi e la tratta schiavista che ci sta dietro. Faranno tutti la fine di quelli di via Curtatone e ciò fa male al cuore se uno un cuore ce l'ha.
Poi leggo su Facebook che un collega, senza citarmi, mi da del razzista per via di un mio precedente post ed allora comprendo che un ulteriore ostacolo ad affrontare il problema per quello che è, in termini realistici e obiettivi, oltrechè umanitari, è rappresentato dalle banalità retoriche e dai luoghi comuni generati da una certa mentalità salottiera, radical chic e psuedo buonista di cui purtroppo è pregna la nostra Italia. Meno male che il ministro Minniti, a differenza della Boldrini, ha dimostrato di esserne immune.