martedì, novembre 14, 2017

Italia, la madre dei talenti non sempre è incinta

Ventiquattrore non sono bastate per elaborare il lutto. Rabbia, delusione, amarezza, sconforto stanno ancora rodendo l'anima a noi calciofili e calciopatici d'Italia. E siamo parecchi, decine e decine di milioni. Fondassimo un partito, sbancheremmo alle prossime elezioni. Siamo la stragrande maggioranza degli italiani. Il calcio è la nostra stessa anima. È uno degli aspetti piu solidi della nostra identità. Siamo tutti cresciuti a pane e calcio e sono davvero una sparuta minoranza coloro i quali in questo momento non sono calcisticamente depressi perché in fondo se ne fottono. 
Nei bar, sul posto di lavoro, in palestra, in piscina, nelle piazze, reali e virtuali, l'argomento del giorno è stato questo. Ovviamente sono partiti i processi e ognuno dice la sua. Senza andare per le lunghe, io sono per: le dimissioni di Tavecchio e Ventura, per una riorganizzazione della Federazione attraverso il pieno coinvolgimento operativo di tutti i nostri ex campioni di calcio: da Maldini a Totti, da Del Piero a Vialli, da Sacchi a Lippi. Commissario tecnico: Carletto Ancelotti. Il mondo del pallone ai suoi protagonisti. È questa la rivoluzione che sogno. Il settore va riformato e pure in fretta. Questa auto esclusione dai Mondiali dopo 60 anni è una "scoppola" incredibile che deve dare la sveglia.
E però, scusatemi, ma se madre natura non ci da una mano, ogni sforzo sarà inutile. Voglio dire, se non nascono talenti la colpa non è di nessuno. È il caso, il destino, pensatela come vi pare, ma a me sembra che cosi è. Purtroppo, a differenza di quella dei cretini, la madre dei talenti non sempre è incinta. Pensate all'Argentina o alla Spagna o al piccolo Belgio, per non parlare dell'eterno Brasile. Talenti a non finire. L'Argentina si permette il lusso di non convocare Gonzalo Higuain. Immobile, Belotti e Gabbiadini gli possono solo allacciare i lacci delle scarpe. O no? Non credo si tratti solo di una questione di troppe presenze straniere come sostiene Salvini, il quale non ha perso tempo nel buttarla in politica. Altro sport in cui  noi italiani primeggiamo. E Renzi ovviamente ha gia detto la sua al TG1. No, dicevo, credo che sia anche una questione di carenza in questo momento di talenti. Pirlo a 19 anni per giocare venne a Reggio Calabria. Nell'Inter non trovava spazio. Ma poi emerse comunque diventando il top player che è stato. Idem per Gattuso. Scappò in Scozia alla stessa età di Pirlo, ma poi emerse e divenne Ringhio. Vogliamo parlare di Materazzi che a 18 anni giocava nei dilettanti in Sicilia? E oggi c'è un Totti, un Del Piero, un Baggio, un Rivera, un Mazzola, un Riva, etc etc, campioni autentici, talenti unici, capaci di esordire giovanissimi in serie A? Cioè Maldini, debutto a 16 anni. Certo non mi pare che possiamo paragonarlo a De Sciglio o Darmian. Li abbiamo oggi questi talenti ?No, non li abbiamo. Abbiamo Jorginho ed Eder.
Tuttavia, ciò non significa che Tavecchio e Ventura debbano continuare. Gentilmente, andate a casa. Grazie. Siete nell'età della pensione e certo i soldi non vi mancano. Godetevela.

lunedì, novembre 13, 2017

Bandiera a mezz'asta

Chissà se stanotte riuscirò a prendere sonno. E non ditemi che in fondo si è trattato di una partita, di un gioco. Non è cosi. Per noi italiani, il calcio è stato sempre qualcosa in più di un semplice gioco. Da sempre l'azzurro ha rappresentato il massimo momento di unità e coesione nazionale. Se conosciamo l'inno di Mameli e lo cantiamo è grazie alla nostra Nazionale. Il calcio, l'azzurro, come momento anche di riscatto, di orgoglio italiano. Un ambito in cui abbiamo primeggiato nel Mondo. E ne siamo andati fieri. L'euforia per la conquista di una Coppa Del Mondo è qualcosa di metafisico. Io l'ho provata due volte. Come moltissimi di voi. A 14 anni con l'eroica impresa di Spagna e a 38 con la travolgente cavalcata in Germania. E l'Italia in Argentina nel '78? Straordinaria. E i Mondiali qui da noi, nel '90? Gli occhi di Schillaci, l'urlo di Tardelli, i rigori con la Francia, quello sbagliato da Baggio negli States e quella finale persa. E gli Europei persi con la Spagna o gli ultimi con l'entusiasmante Italia di Conte. Beazort e Lippi. Vicini, Maldini, Zoff....quanti allenatori. Quante immagini. Quanti ricordi. Sarebbe stato il Mondiale dei miei cinquanta anni ancora da innamorato del calcio e della mia, nostra Nazionale. E va bene. È andata cosi. È pur sempre un gioco. Ci inventeremo comunque il modo per farci piacere i mondiali del prossimo giugno in Russia. Tuttavia, ammetterete che la foto di questo post è appropriata al momento che stiamo vivendo, quello del primo lutto calcistico nazionale.

Italia- Svezia e un pò di sana scaramanzia

Sono sulla metro che mi porterà a casa. Tra poco piu' di due ore ci giocheremo la qualificazione ai Mondiali. Non sto nella pelle. Da tre giorni. E piu' passano i minuti e piu' sale la tensione. Scrivo per sfogare l'ansia, per smorzare questi ultimi momenti di attesa. Lo so, non ditemelo, la sto vivendo male. Ma sono fatto cosi. Temo la catastrofe, ho paura per una nostra retrocessione nella serie B del calcio mondiale. Un incubo che mi sta perseguitando da venerdì notte. Sono cosi teso che pur non essendo scaramantico per natura, da qualche ora mi sto comportando come se lo fossi. Scrivo e contemporaneamente mi sto toccando li, si proprio li, per scacciare eventuali influssi negativi, per impedire attraverso il contatto con i miei naturali amuleti che la malaugurata profezia alla fine si autoavveri.
Purtroppo un paio di coincidenze ci inducono a pensare al peggio. Nel '58 non andammo ai Mondiali. Fu la prima e speriamo unica volta (me li sto ritoccando). E' vero, ci buttò fuori l'Irlanda. Ma i Mondiali si sarebbero giocati in Svezia. Guarda caso. Agli Europei del 2004 poi il famoso biscottone che ci sbatte' fuori dalla competizione. Sempre loro, sempre gli svedesi, quella volta in combutta con i danesi.
E, sorvolando sui nostri evidenti demeriti, ma vogliamo ricordare come nella partita di andata hanno vinto?, Gli è bastato un tiro, anzi una fortunatissima, per loro, autorete. Di contro, il palo pieno, che piu' pieno non si può, stampato da Darmian. 
Insomma, con gli svedesi spesso ci dice male. Così come portano male tutti quei corvi criticoni che stanno giudicando e condannando la nostra squadra come se avessimo già perso, come se non avessimo alcuna speranza nè possibilità di andare in Russia, come se tutto fosse già scritto, predestinati alla sconfitta, alla umiliazione, al dramma calcistico nazionale.
Portano male anche tutti coloro che ce l'hanno con Tavecchio (in verità neanche io lo digerisco tanto, ma rinvio analisi e commenti), i quali pur di toglierselo dai piedi si augurano per stasera una sconfitta della nostra Nazionale. Sono quelli per i quali una riforma del calcio italiano, assolutamente necessaria, deve inevitabilmente passare dalla nostra esclusione dai Mondiali. Ho un paio di amici e colleghi che la pensano cosi. Li inquadro esattamente come quei mariti che si tagliano i cosiddetti per dispetto della moglie.
Ecco, contro tutto questo, non vedo di meglio di un bel corno scaramantico rosso fuoco. Nel calcio a volte si usa esporre amuleti o darsi a pratiche scaramantiche per battere la sfortuna prima ancora degli avversari. Lo ricordate il sale nelle porte?  Lo abbiamo visto cospargere a tutti i livelli, dalla Serie A alla Terza Categoria. Speriamo che qualcuno stasera a San Siro se ne ricordi e provveda.
Non vedo l'ora che inizi sta benedetta partita. Lo avete capito. Perdonatemi. Ma vi prometto che dopo ritornerò in me.
Intanto sono quasi arrivato,  la prossima sarà la mia fermata ed allora vi lascio, ovvio, al grido di Forza Azzurri, non senza però un'ultima salutare toccatina (tiè).   

  

sabato, novembre 11, 2017

Forza Azzurri

E' piu' forte di me. Non riesco a non pensarci. Da qui a lunedi sera sarà un tormento. Un chiodo fisso che mi arrovellerà il cervello. Anzi, lo sta già facendo. Meglio dunque che scriva qualcosa nel tenativo di placare gli effetti psicologicamente devastanti della mia calciopatia, della mia italianità, del mio orgoglio calcistico nazionale, oggi ferito e impaurito.
Vi giuro, credetemi, l'eventuale mancata qualificazione da parte dell'Italia ai Mondiali sarà peggio di una finale persa di Champions League. Molto peggio. L'azzurro è il mio primo colore. Solo dopo, vengono il bianco e il nero. La mia italianità è superiore alla mia juventinità. Decisamente. Colpa o  merito, fate voi, di mio padre. Non tifava per nessuna delle nostre squadre di club. O meglio tifava per tutte quando giocavano all'estero. Amò la grande Inter di Herrera, si entusiasmò con il Milan di Sacchi, pianse piu' di una volta con me per le finali perse dalla Signora. Ma sempre con distacco. Veniva rapito da quegli eventi solo durante i novanta minuti. Prima e dopo rimaneva impassibile. Del Campionato, poi, quasi non gliene fregava nulla. Mi diceva sempre: vinca il migliore. Solo la Nazionale lo attraeva fatalmente. L'Italia del calcio lo trasformava, diventava un ultras vero e proprio. Viveva la vigilia delle partite con grande intensità. Ne era completamente coinvolto.
Ricordo i Mondiali dell'82 come fosse ieri. Nel girone di qualificazione non brillammo. Ci qualificammo a stento tra mille critiche. Ma lui odiava chi criticava gli azzurri con livore e prosopopea. Ritornava a casa la sera amareggiato. All'angolo del bar le discussioni erano incandescenti e lui si sentiva all'epoca in minoranza nel sostenere Beazort e i suoi eroici ragazzi. Mi diceva: non capisco come fanno ad anteporre la critica all'amore, alla speranza, all'orgoglio nazionale, alla voglia comunque di farcela e di stupire il mondo intero. "Io voglio crederci". Ebbe ragione lui. Nell'82 stupimmo il mondo intero. Fu quella una lezione di vita che mi porto ancora dentro. Mai mollare, lottare sempre.
Ora, amici miei, di ragioni per criticare l'Italia di oggi ce ne sono eccome: da Tavecchio a Ventura, ai giocatori stessi. Ma questo non è il momento della critica. Ora è il momento di crederci. Non voglio vivere il dramma (si, per me, sarà un dramma) dell'esclusione dai Mondiali di Russia. Sospendiamo i giudizi. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta. Non condanniamo questi ragazzi e il loro tecnico prima di una malaugurata sconfitta. Lasciamogli una speranza. Lasciamoci una speranza. Almeno fino a lunedì sera. Del resto, noi italiani, si sa, diamo il meglio di noi stessi nei momenti di difficoltà. E' in quei momenti che riusciamo a tirare fuori il nostro orgoglio e le nostre innate virtù. Dobbiamo crederci. Regaliamoci questa qualificazione. Poi avremo anche il tempo per sognare o per ritornarcene a casa con le pive nel sacco come agli ultimi Mondiali. Ma in Russia, dobbiamo andarci. Non molliamo. Per le critiche c'è sempre tempo. 
Forza Azzurri. Forza Italia.

lunedì, ottobre 30, 2017

Io sono uno cresciuto con il "ninareo".

"Papà vedrai, domani sarò originale, mi trucchero' diversamente dalle altre". Domani? Truccarti? E per fare cosa? "Ma sei proprio antico, Dolcetto o Scherzetto papà, sveglia". Eh già, sono antico. Quarantanove anni, tra tre mesi 50, non sono tanti. Diciamocelo francamente. Ma rispetto ai 12 di mia figlia, eccome se lo sono. Si, sono antico. Non solo per l'età, ma anche per il fatto che a me questa americanata del dolcetto o scherzetto mi sa tanto di carnevale, di sfilate in maschera, gruppetti di bambini travestiti, tra l'altro non da super eroi e da fatine, ma da streghe e piccoli diavoletti, da orchi e assassini, facce insanguinate, sembianze macabre. Almeno a Roma è cosi.  Per carità, è un gioco, loro si divertiranno pure, grazie a Dio. Ma io sono uno del "ninareo", tutta un'altra storia, atmosfere diverse. Noi non andavamo in giro per case  mascherati a minacciare "o mi dai il dolcetto o ti faccio lo scherzetto". No, andavamo a chiedere dolci e caramelle "pe l'animicea ri vostri morti". Un pasticcino in cambio di una preghiera per i cari defunti.  Non era elemosina, come non lo è oggi. Era soltanto un modo nostro, calabrese e paesano, di trascorrere questi giorni nel ricordo di chi non c'è più. Ed io l'ho sempre vissuto cosi. Ricordo, bussavi alle porte delle case, degli anziani in particolare e l'occhio andava subito a cercare le foto dei defunti con i lumini che ne disegnavano i contorni in un gioco di luci ed ombre. Spesso foto in bianco e nero, ma ne vedevi gia alcune  a colori, si era alla fine degli anni Settanta al Rione Inglese. In quei giorni al mio paese i morti venivano veramente ricordati, anzi no, venerati. L'aria che si respirava era quella. L'andare il 2 novembre al cimitero era poi il clou della due giorni di ponte scolastico. E non era proprio una passegiata, dovendo fare a piedi cinque chilometri di dura salita, scale e scorciatoie varie. Mi facevo il giro di tutto il cimitero, andavo a salutare tutti. Parenti, amici, conoscenti e anche molti sconosciuti. Quante lapide, quante facce, quante persone, bagnaroti, che non c'erano piu. Di alcuni sapevo tutto, in pochi attimi ne ripercorrevi il vissuto sostando davanti a loro. Di altri invece provavi solo ad immaginarne la vita non avendoli mai conosciuti. Magari chiedevo a mio papà chi fossero e lui placava la mia innata curiosità se non erano sconosciuti anche per lui. Si sono curioso, anche da bambino lo ero e persino al cimitero.  Credetemi, ricordo quei momenti con grande gioia, senza alcuna tristezza. Solo che domani dovrò accompagnare mia figlia al dolcetto o scherzetto e invece volevo essere li, giù, con lei. Ma è contenta cosi. E io sono contento per lei, anche se sono antico.

sabato, ottobre 21, 2017

Sindaco non ha nulla da dire?

Gregorio Frosina
Massacrati. Non trovo altro termine per descrivere la condizione mediatica degli attuali inquilini di Palazzo San Nicola. Qualcuno potrebbe suggerire, crocefissi. Ma non va bene. Sulla Croce ci finì chi non aveva colpe. La Giunta Frosina invece qualche responsabilità sembrerebbe avercela sebbene, ritengo, in assoluta buona fede.
L'opposizione incalza. Anzi di piu'. E' arrembante. Qualcuno direbbe, assatanata. Può darsi, qualche sorriso in piu' in effetti non guasterebbe. Ma fa il suo mestiere. Interviste video di lunghissima durata. Comunicati a raffica. Interrogazioni in serie. Cose mai viste a Bagnara, neanche ai tempi del Torquemada del Consiglio Comunale, alias Antonio De Leo che amava opporsi a suon di carte bollate. Qui siamo oltre. Guai a sbagliare finanche un verbo in un comunicato, si finisce sulla graticola, sbeffeggiati, immiseriti. Niente passa inosservato. Tutto finisce sotto la lente di ingrandimento e giusto il tempo di respirare, questo tutto finisce subito sui giornali, in rete, sui social.
E a proposito di social, non ne parliamo. I critici sono in maggioranza. Ora è spuntata anche una nuova categoria: i satirici. Danno le pagelle agli amministratori, raccontano barzellette con sindaco e assessori protagonisti, li ridicolizzano. E se in Consiglio Comunale una qualche differenza emerge tra le due differenti opposizioni quantomeno nei toni ma spesso anche nei termini della loro azione istituzionale, sui social questa differenza non esiste. Supporter degli ex e supporter "adoniani" camminano a braccetto, all'unisono, sebbene evitano di parlarsi direttamente. Ma l'occhiolino se lo fanno, eccome.
Insomma, è un dare addosso agli amministratori comunali rei di aver gestito non in maniera perfetta  problemi ereditati dal passato: rifiuti, scuole e bilancio soprattutto. La situazione è talmente critica e allo stesso tempo confusa che i colleghi operanti sul posto, e sempre bene informati, parlano addirittura della possibilità di nuove quanto imminenti elezioni. Cioè, solo dopo quattro mesi dal loro insediamento Frosina e compagni avrebbero fallito e sarebbero pronti alla resa.
Certo, il silenzio degli amministratori e del Sindaco in particolare non aiutano a uscire fuori da questo pantano mediatico. Mi chiedo infatti, come è possibile che a distanza di quattro giorni dall'intervista fiume su Costa Viola On Line a Santina Parrello e Adone Pistolesi, nessuno della compagine governativa abbia sentito il dovere, nei confronti dei cittadini, di dire la sua? Perché non raccontano quanto accaduto dal loro punto di vista? Perché all'appello di Rocco Dominici, "rubato" e diffuso da queste colonne, non è seguita nessuna comunicazione ufficiale? Perché dopo gli auspicati confronti avuti con gli esperti della prefettura sulla situazione economico finanziaria del Comune, ancora non ne sappiamo nulla?
Ora, per carità. Non vorrei essere nei panni di Gregorio Frosina che mi dicono inchiodato alla sua poltrona di Sindaco da mattina a sera, a sgobbare, a lavorare e sulla cui buona fede e onestà non credo che esista in paese qualcuno che possa dire il contrario. Ma caro Gregorio, una mossa devi dartela, quantomeno sul piano mediatico. Non viviamo piu' negli anni Novanta quando a scrivere c'era solo Peppe Careri che dalle colonne della Gazzetta del Sud ti dava addosso ma poi tutto poteva essere attutito dal silenzio e dal lavorio sommerso quotidiano. No, viviamo nel Terzo Millennio dove la comunicazione di massa a portata di tutti, a portata di un click, piaccia o meno, la fa da padrona, crea, lancia, sedimenta messaggi. Per esempio, negli anni Novanta era impensabile che un nostalgico giornalista si inventasse un blog per amore del proprio paese e della scrittura e da ottocento chilometri di distanza, nelle ore libere, dicesse pubblicamente la sua. Eppure oggi "capita  che succede o succede che capita", tanto per rubare una battuta al simpaticissimo Paolo Caratozzolo, penna sottile quanto piacevole, che finalmente sembra essere ritornato intellettualmente in piena sintonia, sia pure indiretta, con Adone Pistolesi come a bei tempi della presentazione della lista del di lui cognato e del di lui cugino. Ma tant'è.
Chiudo con una domanda: Gregorio, o meglio, caro amico Signor Sindaco della mia Bagnara, il paese delle Meraviglie (Carbonello docet), non hai proprio nulla da dire? In fondo ti ho votato ed ho diritto di sapere come la pensi.

giovedì, ottobre 19, 2017

Quell'indimenticabile e profumatissima saponetta rosa

Non so perché, ma stasera mi è venuta in mente la saponetta Camay. Chi ricorda quell'inconfondibile colore rosa, quel profumo gradevolissimo e quella testa di donna impressa su un lato, un vero e proprio bassorilievo, un marchio di fabbrica che la contraddistingueva dalle altre saponette all'epoca in circolazione?
Correvano gli anni Ottana e a casa mia si usava rigorosamente Camay. E' vero che era un prodotto pensato piu' per le donne, ma essendo una saponetta ne facevamo tutti uso in famiglia senza distinzioni di genere.
Io l'adoravo. La utilizzavo non solo per lavarmi mani e viso, ma anche tutto il resto del corpo, come fosse un bagnoschiuma. D'estate poi non ne potevo fare a meno. Dopo una giornata di mare, insaponarsi con la Camay era un vero piacere, un vero e proprio rito propiziatorio, senza il quale uscire non avrebbe avuto la stessa piacevole freschezza. In realtà avevo l'impressione che piu' che insaponarmi mi stessi levigando. Mi sembrava che la mia pelle acquisisse maggiore lucentezza e allo stesso tempo si ammorbidisse rendendo piu' intensa e gradevole l'abbronzatura. Mi lasciava addosso un profumo unico che durava a lungo e che di tanto in tanto  amavo annusare sprofondando il mio naso sulla peluria dell'avambraccio anche molte ore dopo la doccia. Ma non era solo una mia impressione. L'odore della mia pelle lisciata dal Camay piaceva moltissimo anche alle mie fidanzatine dell'epoca.
Era un prodotto di successo in quegli anni, tra i piu' venduti. Quel nome, poi, si prestava a battute o a barzellette spinte nella mia lingua madre, il dialetto bagnarese. Come quella relativa a quell'uomo che si faceva insaponare sotto la doccia dalla sua donna e mentre questa strofinava la saponetta sulla sua pelle,  lui quasi inebriato dal piacevolissimo massaggio, con gli occhi chiusi seguiva l'andamento della di lei mano sul suo corpo sospirando e sillabbando  "Ca-may, Ca-may, Ca-may"...Fin quando però all'improvviso non esplodeva in un eccitatissimo "Ca-sempri". Quella mano insaponatrice aveva finalmente raggiunto le sue parti intime.
Ho cercato su Google notizie sulla Camay. Pare che sia stata ritirata dal mercato, almeno nei paesi occidentali. La venderebbero ancora in India
Non mi dispiacerebbe dopo oltre trent'anni potermi insaponare di nuovo con essa. Sarebbe un tuffo nel passato della mia fresca, meravigliosa e profumatissima adolescenza.

giovedì, ottobre 12, 2017

Legge elettorale, io preferisco il Cacatellum

E il Mattarellum non andava bene. E il Porcellum men che meno. Non ne parliamo dell'Italicum, figuriamoci del prossimo Rosatellum. Insomma, cari politici, fatela come volete questa legge elettorale, in ogni caso la sbaglierete comunque. Statene certi. Maggioritaria o proporzionale, con i listini bloccati o con le preferenze, con l'elezione diretta o con il doppio turno, ci sarà sempre qualcuno che la contesterà, che griderà al golpe e che agiterà lo spettro di una nuova marcia su Roma per affossarla. In Italia funziona cosi. E se in passato il rischio rispetto al quale venivamo messi in guardia  era quello di ritrovarsi a Palazzo Chigi un nuovo Duce, oggi invece è quello di beccarsene addirittura due al prezzo di uno: Silvio e Matteo, il vecchio e il giovane, il Sultano di Arcore e il pifferaio magico di Rignano, padre e figlio putativo, fatti ad immagine e somiglianza, uno lo specchio dell'altro, uniti nel nome del Rosatellum in un abbraccio amoroso quanto inciucioso che preluderebbe al futuro governo delle larghe intese. Non sia mai. Vada retro Saragat, direbbe Totò.  "Allarme, son fascisti" titolerebbe Travaglio confermando una sua personale tendenza alla battuta umoristica degna del grande principe De Curtis.
La verità è che in Italia le leggi elettorali sono come la pelle di certi attributi. Ognuno le tira verso dove piu' gli conviene. Non a caso siamo l'unico paese moderno, occidentale, democratico, liberale e industrializzato dove le leggi elettorali cambiano alla stessa velocità con cui noi cambiamo canale quando in tv c'è Fabio Fazio o Fazio Fabio per dirla alla Albanese. Non siamo un paese serio, neanche nelle denunce, nella critica. Tendiamo sempre ad esagerare, anzi ad esasperare, molto, troppo, eccessivamente. Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Non riusciamo a metterci d'accordo su nulla, non riusciamo a riformare nulla e alla fine siamo in grado di partorire solo "cagate" gigantesche che alla successiva legislatura verranno  sostituite da altre "cagate" gigantesche, i cui nomi finiscono sempre per "ellum".
Ecco, vi sembrerà una battuta, poco edulcorata, decisamente fuori luogo, ma proprio la naturale quanto nobile attività defecatoria potrebbe fare al caso nostro. Stamattina ho avuto un'intuizione grazie ad un gruppo su whattsapp dove tra amici sparsi ai quattro angoli del mondo ci scambiamo non solo opinioni calcistiche, politiche, informazioni su gossip locali, selfie, video e foto di donne nude, ma anche notizie circa la consistenza del frutto delle nostre rispettive attività defecatorie. Accade ogni mattina all'alba. C'è quello che si lamenta per il tappo,  l'altro che ci svela invece un'attività espulsiva molliccia, infine c'è sempre chi riesce a farla meglio degli altri, autentiche opere d'arte, dice. Discussioni e confronti di altissimo profilo, roba da accademici del pensiero profondo, seduti sul nostro trono mattutino siamo molto piu' seri degli pseudo statisti che ci governano. 
Da qui, l'idea geniale che ci risolverebbe molti problemi, soprattutto quello di capire il funzionamento dei nostri sistemi di voto, guarda caso, sempre complessi e complicati: anziché lambiccarsi il cervello per produrre "cagate" di leggi elettorali che non riescono mai a mettere d'accodo nessuno e che presto saranno soppiantate da "cagate" altrettanto gigantesche, i nostri politici non potrebbero eliminare il voto e decidere chi dovrà governare proprio sulla base delle loro defecazioni mattutine? Tanto sempre di cagate si tratterebbe. Andrà a Palazzo Chigi chi la farà piu' grossa degli altri, cosi Travaglio e Zagrebelsky finalmente la smetterebbero di gridare al golpe, al fascismo, all'attentato contro la Costituzione. Tra l'altro non dovremmo neanche scervellarci piu' di tanto per individuare il nome da dare a questo sistema psuedo elettorale. Sarebbe naturale definirlo "Cacatellum".

mercoledì, ottobre 11, 2017

Dal pesce alla patata,ormai si celebra di tutto.

"Per stasera ho voglia di pesce". Solo a dirlo mi era salita l'acquolina in bocca pregustando già la saporosità di una luccicante orata cotta al forno, di un pugno di fresche alici marinate e di un trancio di salmone abbrustolito ai ferri. Ma ecco subito, di getto, la battuta beffarda del mio interlocutore, anzi della mia interlocutrice, una collega. "Ah, si, hai voglia di pesce? Bene, hai scelto il giorno giusto per dichiararti".
Eh già, io non ne sapevo niente, ma oggi si celebra il Coming Out Day, il giorno dell'orgoglio gay, quello in cui puoi venire allo scoperto, liberarti del peso di aver nascosto per tutta la vita la tua omosessualità. Oggi lo puoi gridare ai quattro venti, diffonderlo urbi et orbi, dichiararlo spudoratamente ai tuoi cari, ai tuoi amici, fin'anche a tua moglie se ne hai una o a tuo marito se sei lesbica. Nessuno in teoria ti giudicherà, cascate di solidarietà invece ti cadranno addosso, l'umana comprensione avvolgerà il tuo essere e tu non ti sentirai piu' da solo rinchiuso dentro il tuo segreto per tenerti al riparo da pregiudizi e razzismi vari. O almeno si spera che sia cosi. Uscire allo scoperto fa bene alla salute, alla psiche, aiuta il movimento omosessuale ad essere piu' forte nel rivendicare con maggiore vigore i propri diritti.
Ed allora, apritevi, Cribbio. Dichiaratevi. Si, dico proprio a voi. Cosa? Io? No, per carità, non fraintendete. Personalmente non ho nulla da dichiarare o pesi di cui liberarmi poichè, sessualmente metaforizzando, l'alimento che continuo a preferire è ancora di gran lunga quello di sempre, sempre lo stesso, ovvero la patata, meglio se croccante, lessa mi piace un pò meno, anche se a digiuno non vi nascondo che va bene pure quella.
Nulla contro l'omosessualità, ho un paio di amici, uomini, gay, qualcuno fraterno, solo che ognuno ha i propri gusti ed io ho i miei. A ciascuno la propria dieta.  A chi piace il pesce vada il pesce, a chi la patata vada la patata. E vissero tutti felici e contenti.
Il punto è che mi hanno indotto a non sopportare le celebrazioni. Ne siamo invasi. Se ne inventano una al di. Non c'è giorno infatti che passi che non si celebri qualcosa. Praticamente celebriamo tutto l'anno. Il continuo proliferare di queste ricorrenze produce una conseguenza: ne inflaziona il senso rendendone meno autorevoli i messaggi sebbene originariamente importanti. E' come se fosse una moda celebrare qualcosa tutti i giorni e come tutte le mode alla fine anche questa stanca.
Addirittura ci sono giorni con celebrazioni doppie. Come oggi, per esempio, dove al Coming Out Day si aggiunge la Giornata Internazionale delle bambine, quando solo appena l'altro ieri abbiamo celebrato quella dei nonni. Ma qui, per amor di Dio, il discorso si fa un pò piu'  serio poichè leggo che nel mondo ogni anno 44 milioni di ragazzine subiscono violenze o mutilazioni fisiche. Numeri spaventosi. Avendo una figlia di 12 anni mi vengono i brividi solo a pensarlo, quantunque, ne sono certo, mi sarebbero venuti anche se non fossi stato padre. Ricorrenza importante, dunque, rievocazione sacrosanta, iniziative lodevoli, momenti di riflessione collettiva da sostenere e incoraggiare.
Ma, Dio Santo, in questo contesto Facebook cosa ti fa? Triplica. Si, triplica, istituendo, sua sponte, la celebrazione del futuro delle bambine e della leadership femminile che verrà (sic!).
Ma tant'è. Fortunatamente domani riposeremo. Nessuna celebrazione in vista. Almeno per noi italiani. Per gli Spagnoli invece il 12 ottobre ricorre la Festa Nazionale. Ma ho seri dubbi che domani in Catalogna avranno voglia di festeggiare.

Il Premio Mia Martini, amarcord

Il Palatenda
Che serate. Quale passione. Che personaggi. Io il Premio Mia Martini l'ho visto nascere. C'ero. Ci sono stato, sin dall'inizio. Da giornalista. Ma anche da amico dei fratelli Romeo, del patron Nino, del "compare" oggi vicesindaco Mario, di Pino e ovviamente di Rodolfo Bova, cugino della grande Mia. C'ero dietro le quinte, tra gli ospiti, nei camerini, nel dopo festival al bar Cardone. L'ho vissuto dal di dentro il Premio. Quanti di voi, per esempio, sanno chi è Mario Garrambone? È colui che, praticamente da sempre, crea le scenografie nel palatenda di piazza Municipio. Quante persone ho conosciuto grazie al Premio. Bagnara si riempiva di facce nuove in un periodo dell'anno solitamente piatto, senza presenze turistiche, quando praticamente per le strade  non "c'era anima viva". Per una settimana il paese si rianimava nel nome della grandissima Mia Martini, bagnarota nell'anima, in quelle fresche serate autunnali in cui passeggiare in Via Marina o tirare tardi in piazza era un piacere. Ed allora capitava che al Pub Dali ti trovavi al bancone a bere una birra con Gragnaniello o al ristorante da Saverio a chiacchierare con Daniele Piombi.  O ad intervistare aspiranti cantanti nella saletta dell'Albergo delle Rose. Quanta umanità. E quanti articoli. Esperienze che mi porto nel cuore. Una Bagnara bella. L'ultima volta che ho visto il Premio è stato nel 2003. Non so a quale edizione oggi sia arrivato. Tante comunque. Perdonatemi questa rievocazione in chiave nostalgica. Ma questa è la settimana del Mia Martini a Bagnara.

sabato, settembre 30, 2017

Ridateci Carbonello

Francesco Carbone, per gli amici Carbonello.
Mentre qui cominciano a cadere le foglie, a Bagnara invece continuano a "calare" a mare. Non tutti. Di sicuro gli inossidabili, gli amanti della natura, delle cose semplici, della freschezza rigenerante delle acque del Tirreno, quelli a cui basta che ci sia una "sfera" di sole e sono ancora lì, sulla battiggia con i piedi a mollo a saggiare la temperatura del mare prima del tuffo ritemprante, in una spiaggia senza piu' i lidi, deserta, ma proprio per questo ancora piu' bella, senza il caldo esagerato dell'estate ma con un morbido tepore che ti accarezza la pelle. E noi qui, a roderci di invidia "positiva", sdraiati sul divano a fare zapping tra tv, giornali, rete e social.
Ve lo dico subito. Tra gli inossidabili, io ho eletto il mio mito. E' Francesco Carbone, in arte Carbonello, al secolo Cicciu Puntaloru, il nostro inviato speciale, quello delle quotidiane dirette Facebook, dei lunghi monologhi, delle riprese a pelo d'acqua diffuse urbi et orbi, al mondo intero, agli amici e ai bagnaroti sparsi tra i quattro angoli del pianeta. Un mito che invidio, non solo perché è riuscito ad organizzarsi la vita in modo tale da avere quattro mesi liberi da trascorrere appunto al mare, ma anche perché a sessanta e rotti anni, esibisce un fisico da atleta, con i pettorali scolpiti e una tartaruga da fare invidia ai piu' incalliti frequentatori di palestre. Salutista, da sempre appassionato di corsa e di sport piu' in generale, non fumatore, spesso ci delizia e ci tiene compagnia in diretta proprio mentre corre per le strade o lungo la spiaggia, o su per salite o scale ripide con tanto di spiegazioni sul lavoro fisico che sta effettuando. Ciccio è un esempio per tutti, specie per coloro i quali dichiarano amore viscerale per Bagnara ma che spesso alle chiacchiere non fanno seguire i fatti. No, lui non si limita solo alla denuncia via social, alla ripresa video sulla bottiglia di birra abbandonata dai soliti "porci" sul muretto della Via Marina. No, lui, adotta anche spazi verdi pubblici e se ne prende cura volontariamente, come ha fatto e sta facendo con un'aiuola sotto il Ponte di Caravilla.
E poi, il suo linguaggio, i suoi slogan, ormai diventati virali. Bagnara che diventa il Paese delle Meraviglie, gli amici che se sentono calore è perché Ciccio in quel momento li sta idealmente abbracciando e noi tutti che non dovremmo essere gelosi sennò moriremo arrabbiati. Una filosofia di vita, un modo di essere del tutto particolare, un mondo, il suo, edulcorato in cui il barbiere diventa il curatore d'immagine. Fantastico.
Ciccio lo si può apprezzare o meno. Di certo,non fa male a nessuno. Anzi, sono sicuramente molti i messaggi positivi che lancia durante le sue innocue video riprese.
Eppure, Facebook lo ha bloccato, o meglio da oggi gli impedisce di trasmettere in diretta. Un colpo al cuore. Stamattina mi sarei aspettato l'ennessima diretta dal mare, il suo particolare buongiorno a tutti noi. Ed invece, no. Bloccato. Mah...
Ti prego Facebook, libera Francesco Carbone, ridacci il nostro Carbonello.


lunedì, settembre 25, 2017

Breve di cronaca. La vera sorpresa non è stato il furto al Comune.

Ancora non è ben chiaro come i ladri siano riusciti a intrufolarsi nel Palazzo, quale porta o finestra avrebbero forzato per accedervi, se lo abbiano fatto nottetempo o addirittura di giorno,  utilizzando un piede di porco o qualche altro attrezzo da scasso. Non si sa neanche se prima di arrivare alla cassaforte dell’economato abbiano rovistato nei cassetti e negli armadi di altri uffici o se siano andati subito dritti verso il malloppo perché evidentemente sapevano già dove trovarlo.
Cosi come non è dato sapere se ad agire sia stata una banda “bassotti” oppure un mariuolo in azione solitaria, od anche se le telecamere di sicurezza abbiano ripreso qualcosa semmai fossero al momento funzionanti.
Nei prossimi giorni forse le forze dell’ordine e quindi la cronaca locale ci sveleranno questi interessanti dettagli per placare la nostra morbosa curiosità di lettori e cittadini.

Tuttavia, nell’attesa di saperne di piu’, una cosa comunque è certa: la vera sorpresa non è stata apprendere del furto, ma scoprire che a Bagnara Calabra, nel Sud dello sprofondo Sud, in un Comune dissestato e indebitato, erano rimasti ancora cinquemila euro in cassa. E purtroppo anche questi ultimi spiccioli, voilà, sono adesso spariti. (Sic)

venerdì, settembre 22, 2017

Autunno, tra malanni e caldarroste

E' arrivato l'autunno. O, se proprio volete, è finita l'estate. Oggi luce e buio, notte e giorno, avranno la stessa durata. Si chiama equinozio, questo fenomeno, capita due volte l'anno (la prossima a marzo) e io ho sempre creduto che coincidesse con il 21 settembre. A scuola ci avevano insegnato cosi. La mia maestra ce lo diceva sempre: tenete a mente il 21, non scordatelo, è un numeretto magico perchè il 21 settembre comincia l'autunno, il 21 dicembre l'inverno, il 21 marzo la primavera, il 21 giugno l'estate. Un metodo molto efficace per farci memorizzare l'inizio e la fine di ciascuna stagione. Un pò simile alla famosa filastrocca del "30 giorni a novembre, con aprile, giugno e settembre" inventata per farci ricordare il numero di giorni di ciascun mese. Eppure, non è cosi. Lo scopro a 49 anni. Leggo infatti che l'ultima volta che l'equinozio d'autunno è coinciso con questa data è stato addirittura mille anni fa. Lo dice la scienza ma evidentemente la mia maestra all'epoca non ne sapeva niente. Vi giuro, sono rimasto basito. Mi è cascata una verità, una tra quelle poche che credevo assolute. Ma tant'è. Me ne farò una ragione. Sono grande e vaccinato. Posso superarla. Anzi, ne sono certo, la supererò. Anche se questa scoperta ha insinuato in me il timore che il tempo potrebbe portarmi un conto salato anche su altre ben piu' importanti verità. Come dire, mai dare nulla per scontato. Aveva ragione quel tizio che sosteneva che tutto è vero fino a prova contraria. 
In ogni caso, benvenuto autunno. Stagione in cui cadono le foglie e purtroppo anche i capelli. Ne so qualcosa. State ridendo? Facile farlo sulle implumi disgrazie altrui. Ma state attenti: l'autunno potrebbe tirare un brutto scherzo anche a voi virgulti capelluti, uomini e donne senza problemi di atrofizzazione dei follicoli piliferi. E già, pare infatti che con la diminuizione della luce solare diminuisce anche la produzione di serotonina nell'organismo umano, la sostanza della felicità, quella senza la quale l'umore finisce sotto i piedi, vostro malgrado e a vostra insaputa. Di conseguenza, anche se dotati di superchiome siete comunque tutti a rischio depressione. Lo dice ancora una volta la scienza, che a tale proposito consiglia: cioccolato fondente a josa. E fregatevene della linea, tanto per la prova costume mancano ancora undici mesi. Altrimenti,  datevi allo Xanax, vedrete che divertimento.
Leggo tutte queste cose sui giornali e quasi mi viene lo sconforto. L'autunno viene infatti dipinto con tutto il suo carico di acciacchi e malanni al punto tale che ho voglia di saltare subito alla primavera, al prossimo equinozio, quello previsto per il 21 (?) marzo. Ce n'è infatti per tutti e per tutti i rischi: mal di gola, mal di schiena, influenze, sembra che stiano tutti li ad aspettarci al guado come i cinesi sulla sponda del fiume, pronti a tenderci un'imboscata. Inesorabile, inevitabile, prima o poi ce lo beccheremo qualcuno tra questi accidenti.
Succede sempre  ad ogni cambio di stagione. E' successo già in estate (ricordate il caldo, il sole, i pericoli, etc. etc..?), accadrà anche con l'arrivo del solstizio d'inverno e poi ancora con l'equinozio di primavera. Funziona cosi, la cosiddetta informazione di servizio.
Chiudo quest'ennesima estemporanea riflessione da pendolare metropolitano. Sto solo pensando che essendo autunno, forse dal fruttivendolo troverò già le castagne. Si le castagne, evviva, stasera caldarroste, magari accompagnate da un bicchiere di un buon rosso e chi se ne frega dei malanni di stagione. 
Ben ritrovato autunno



venerdì, settembre 15, 2017

Breve elogio del "venerdì del villaggio "

Che bello, è venerdì. Ancora piu' bello è sapere che è venerdi pomeriggio, che siamo già oltre l'orario di lavoro, che mi ritrovo fuori dall'ufficio, già sulla metro di ritorno a casa, cosciente del fatto che domani mattina la sveglia non suonerà e che stanotte potrò tirare fino a tardi a leggere, scrivere, a fare zapping in tv tra un canale e l'altro, riuscendo finalmente a vedere fino alla fine un film o uno di quei documentari,  su Rai Storia (canale 54) o su Focus (canale 56), che tanto mi affascinano ma che il sonno, e soprattutto il desiderio di non violentarlo, ogni sera mi impediscono di godere fino all'ultimo videogramma.
Stanotte, a differenza delle altre notti, non dovrò assecondare le palpebre che lentamente si abbassano mentre le mie orecchie continuano a seguire il programma in onda con quelle voci narranti che da nitide, pian piano, diventano un brusio indistinto, una sorta di nenia che dolcemente mi accompagna fino a collassare completamente tra le braccia di Orfeo. No, non dovrò svegliarmi dopo qualche ora nel cuore della notte, con il collo indolenzito, il braccio addormentato, la schiena a pezzi, spegnere la tv e andarmene a letto abbandonando il divano. No, oggi è venerdì, tutto ciò non accadrà, perchè domani è sabato e al solo pensiero il mio cervello produrrà cosi tanta di quella adrenalina che per addormentarmi ci vorrebbe una dose di sonnifero simile a quella utilizzata per stordire un elefante. 
Nel frattempo che vergo questi scarni e banali pensieri mi guardo attorno ed ho come l'impressione che questo sentimento adrenalinico sia diffuso, comune, cioè appartenga non solo a me ma un pò a tutti coloro che mi stanno accanto o di fronte. Non vedo infatti le solite facce stanche, depresse,  di pendolari rattristiti. No, è come se tutti avessero questa leggerezza del venerdì stampata sul viso. Ed allora succede che proprio in questo momento la signora sedutami vicino parli al cellulare con l'amica per darsi appuntamento, con le rispettive famiglie, in quel ristorante, "ma mi raccomando, prenota adesso, perchè il venerdì sera escono tutti e come sempre in quel posto si rischia il pienone". Ciao, abbracci, a dopo, ecco un sorriso a 54 denti. 
Ma dai, non c'è dubbio: la sera del venerdì è senza dubbio la piu' bella della settimana.
Ora non vorrei scomodare Leopardi e il suo Sabato del Villaggio per sottolineare come l'attesa della festa scateni gioia e felicità. No, non paragono la signora di cui sopra alla "donzelletta che vien dalla campagna in sul calar del sole:". Per carità. Ma mi limito soltanto a fare notare che rispetto all'Ottocento in cui visse il celebre poeta di Recanati, qui, oggi, nel 2017, a Roma, metropoli, è già festa il Venerdì. Buon week end a tutti.    


giovedì, settembre 07, 2017

Quella barba da filosofo

Non mi riconosco piu'. Stavo facendomi un selfie e ad un tratto è stato come se vedessi un altro sullo schermo del cellulare. Quella folta barba bianca non solo mi invecchia ma stravolge il mio aspetto. Questa volta l'ho fatta crescere molto piu' del solito. Non le consuete due settimane, bensì sei. Sono già oltre il limite della cosiddetta barba incolta, quella che mi accompagna ormai da oltre un decennio. Non ricordo neanche l'ultima volta che ho usato il rasoio per radermi completamente. E il fresco odore mattutino della schiuma da barba ormai l'ho quasi dimenticato. Uso il rasoio, o meglio lo usa il mio barbiere sulla mia faccia. Però, mi rendo conto che questa volta sto esagerando. Qualche altra settimana ed entrerò in piena zona "barbone". E' già folta, tendente all'arricciamento e adesso sta pure allungandosi. Mia figlia dice di tagliarla. Ma io ho deciso: vado avanti. La lascerò crescere, diciamo, fino al limite dell'umana decenza. Voglio vedere che effetto fa. Voglio in fondo provare almeno per una volta nella vita l'ebbrezza, il piacere, semmai di questo si tratti, di accarezzarmi una barba che sia veramente tale. Voglio sentirmi un pò piu' intellettuale, filosofo, scienziato posto che l'iconografia del passato ci restituisce le immagini di pensatori e artisti spesso barbuti. Ed infatti la portava Platone, pare anche Socrate, di sicuro Leonardo da Vinci e, per carità, senza voler fare paragoni basflemi, non dimentichiamoci che la portava pure Gesù Cristo. Quella di Mazzini ci è più nota, meno quella di Bargiggia, giornalista sportivo televisivo Mediaset, che di recente abbina ad elegantissimi gessati in doppiopetto una barba sagomata sullo stile di quella dell'illustre patriota ligure anche se piu' lunga, molto piu' lunga. Come dire che la barba non necessariamente è sintomo di trascuratezza. Si può essere eleganti anche con la barba. Sin può essere addirittura fenomeni con la barba. Ed infatti Leo Messi da qualche tempo s'è fatto crescere la barba. 
Non mi pongo la domanda se con la barba sono piu' attraente o meno. A cinquat'anni, fortunamente, credo di aver superato certe aspirazioni estetiche. Non mi preoccupano neanche  i puristi, cioè coloro i quali sostengono che una faccia rasata sappia molto piu' di igiene. Cosi come non do peso a certe culture per le quali la barba è simbolo di dignità virile.
Non seguo certo la moda, perchè oggi portare la barba sembra essere appunto di moda, anzi è un vero e proprio mainstream. Barba hispter viene chiamata dagli specialisti del settore e per alcuni è un vero e proprio culto. La curano, la spuntano, la sagomano, la squadrano, la innaffiano, la pettinano, la profumano, la coccolano.
No, per me è diverso, è che, come spesso accade, tutto nasce per caso. Non ho deciso di crescerla. L'ultima volta che l'ho tagliata è stato una settimana prima di partire per le vacanze. Giù sono rimasto 20 giorni. Non ho avvertito la necessità di raderla. Non era esagerata. Ci poteva stare. Quando sono rientrato a Roma, volevo accorciarla, riportarla al primo basilare quanto incolto livello. Ma il mio barbiere di fiducia era ancora in vacanza. Da allora sono passate due settimane e credetemi non ho ancora trovato il tempo per andarlo a trovare (nel frattempo ha riaperto).  Quando lo farò? Chissà.  Intanto, ho la barba e me la tengo. In seguito, si vedrà

giovedì, agosto 31, 2017

Io e il mare, un libro che forse mai scriverò.

Semmai un giorno dovessi decidermi a scrivere un romanzo, il titolo non potrebbe che essere questo: Io e il Mare. Forse non sarà tanto originale e magari è stato già utilizzato da qualche altro scrittore. Chissà. Fatto sta che non riesco proprio ad immaginarne un altro per questo mio ipotetico esordio letterario. Non è che voglia scimmiottare  Hemingway traendo spunto dal suo celebre "Il Vecchio e il Mare" tanto per sentirmi un grande e autocelebrarmi tra i grandi prima ancora di aver scritto la prima parola, anzi la prima vocale di questo mio primo e per il momento fantastico libro. Per carità, non equivocate. Fantastico non intendetelo nel senso di eccezionale, straordinario, un capolavoro insomma, ma nel senso che per adesso questo mio libro è solo presente nelle mie fantasie, nel mio farneticare fantasioso, sebbene non sia propriamente un chiodo fisso ma un'idea appunto fantastica che solo sporadicamente spunta, emerge tra i miei mille pensieri tutti rigorosamente fantastici. A me piace sognare. Mai ho smesso di farlo. Spesso sogno ad occhi aperti e quello di scrivere un libro è appunto un sogno che mi accompagna sin da ragazzino. Sogno che probabilmente resterà tale per sempre, considerato che la scrittura come mestiere è innanzitutto fatica ed io per indole sono invece uno sfaticato. Non mi immagino infatti a scrivere metodicamente, tutte le mattine, tutti i pomeriggi o tutte le sere. Scrivere, per quanto mi riguarda, non può essere una professione (a meno che non fai il giornalista, ma quello è un altro mestiere), non può essere un esercizio ripetitivo, una forzatura, una costrizione. Scrivere è  passione che si esercita solo quando si accende ed essa si accende sempre da sola. Non puoi stabilire tu, come e quando. Arriva all'improvviso e tu devi semplicemente assecondarla. Io la vivo cosi e non riesco a viverla diversamente. E' la risposta ad un bisogno interiore, non un obbligo dettato da un desiderio come può essere appunto quello di scrivere un libro. Scrivi perchè ti va di scrivere. Perchè hai bisogno di scrivere. Perchè senti di scrivere. Perchè hai qualcosa che vuoi far sapere agli altri. Vuoi condividerla con gli altri. Oppure no. Scrivi solo per te stesso e ti basta cosi. 
Ma intanto, nell'attesa che la voglia di faticare scrivendo si impossessi di me, mi sono già portato avanti con il lavoro scegliendone il titolo. Direte: è come costruire una casa partendo dal tetto. Non regge. Vero. Nella realtà è cosi (e infatti non diventerò mai uno scrittore). Ma nei mondi fantastici no. Li non esistono regole precise, tutto può accadere, anche la fisica può seguire leggi particolari diverse e contrarie da quelle scoperte dalla scienza. Nella fantasia, la famosa mela di Isaac Newton può anche non cascare per terra ma salire in alto una volta liberata dalla mano che la tiene, come se la legge di gravità funzionasse al contrario o come se non esistesse affatto. Per cui può benissimo accadere, nel mondo fantastico, che una casa venga costruita partendo appunto dal tetto, cosi come potrebbe esistere un libro già con la copertina e il titolo ma senza pagine. Ci sta. Regge. E' possibile.
Qualcuno obietterà: si ma per scrivere un libro occorre innanzitutto saper scrivere. A parte il fatto che ho letto libri, di autori piu' sconosciuti di me, da far rabbrividire sotto il profilo stilistico, sintattico e a volte fin'anche grammaticale. Ma che c'entra? Stiamo parlando di sogni. Non importa quanto sei bravo o capace. L'importante è sognare. O volete impedire ad un bambino di immaginarsi autore di un goal capolavoro, di un dribbling ubriacante, di una rovesciata incredibile anche se non si chiama Leo e di cognome non fa Messi?
Vi starete chiedendo: ma perchè proprio questo titolo, perchè "Tu e il Mare"? Non è facile da spiegare in poche parole.  Ci vorrebbe appunto un libro. Per il momento accontentavi di questo: è sera, dopo cena, seduto sul balcone in pantaloncini e a petto nudo (fa ancora caldo), fumando una sigaretta scruto l'orizzonte scuro di fronte a me, ma non vedo il mare. E non c'entra il fatto che siamo a fine agosto e sta per arrivare settembre, il mese del mare piu' bello dell'anno. No. Non solo. E' che la vista del mare a me manca anche d'inverno.
Scrivo per sconfiggere l'angoscia dettata da questa assenza. Non so neanche se pubblicherò queste quattro righe sul mio blog. Non so se ne valga la pena. Ma se le state leggendo, vuol dire che l'avrò fatto. E sapete perchè? Perchè probabilmente nel momento in cui le ho pubblicate (in pausa pranzo), seduto al tavolino di un bar a mangiare un'insalata, stavo nuovamente pensando al mare. 

giovedì, agosto 24, 2017

Quegli occhi impauriti a Piazza Indipendenza

Un momento dello sgombero di Piazza Indipendenza
Roma - Ero li stamattina. Stavo per arrivare al lavoro quando a pochi metri dal mio ufficio, sotto i miei occhi, si è scatenata la guerriglia. Lancio di oggetti contro i poliziotti, bottiglie, bastoni, bombole di gas, sacchi di plastica pieni di non so che, le cronache raccontano anche dell'utilizzo da parte dei manifestanti di spray urticanti e di peperoncino. In assetto antisomossa i celerini hanno badato solo a difendersi. Con il manganello sempre abbassato, mai alzato neanche a mo di semplice minaccia. Hanno azionato soltanto un potentissimo idrante e con l'aiuto di spruzzi violenti simili a frustrate sono riusciti lentamente a sgomberare la piazza. Dove da sabato scorso erano accampati un centinaio, i piu' resistenti, dei circa 400 rifugiati evacuati da uno stabile enorme, un palazzone di otto piani, un tempo adibito ad uffici, che si affaccia appunto su Piazza Indipendenza ad un tiro di schioppo dalla stazione Termini. Erano li da quasi quattro anni, queste povere anime, molti tra loro richiedenti asilo. Una presenza ormai familiare per tutti quelli che lavoriamo in via Curtatone. Una presenza tuttosommato discreta, con quell'andirivieni pacifico di immigrati tutti di colore, tutti ben vestiti, nessuno con la parvenza da straccione, tutti con il telefonino, qualche bella ragazza, come si dice a Roma, "acchittata" alla stessa stregua delle coetanee occidentali, alcuni addirittura automuniti sebbene grazie all'applicazione da cellulare denominata "scanner veicoli" che legge la targa dei mezzi e ti dice se è tutto in regola, con un collega un giorno, quasi per gioco ma soprattutto per curiosità, scoprimmo che in regola quei mezzi proprio non lo erano, essendo risultati tutti sprovvisti di assicurazione e in forte arretrato con il pagamento del bollo. E va be, ci siamo detti, siamo in Italia, lo fanno molti nostri connazionali, perchè negare queste opportunità fuorilegge proprio ai nostri ospiti?
Non so i motivi per cui dopo quattro anni lo Stato Italiano si sia deciso a sgomberarli da quel che era ormai diventato una sorta di casermone, con bagni in comune nei piani, stanze lunghe e strette adibite a camerette, senza balconi, solo finestre. Pare ci siano anche motivi relativi alla sicurezza tenuti ovviamente top secret. Chissà. Fatto sta che oggi  non ho avvertito l'odore acre e pungente, talvolta anche stomachevole, che puntualmente all'ora di pranzo ogni giorno esalava dal palazzone di fronte invadendo il mio ufficio dopo essere stato sprigionato da alimenti evidentemente cucinati con un abbondante sovraccarico di spezie. I nostri "vicini" non c'erano piu'. E non ci saranno mai piu'. Sgomberati.
Mentre scrivo questa nota sulla metro di ritorno dal lavoro, il mio pensiero non va tanto al giovane immigrato che, benchè claudicante, con le stampelle tentava di tenere a bada i celerini. E non va neanche a quella vecchietta inginocchiata per terra nel tentativo di arrestare l'avanzata del blindato munito di idrante che in un veloce flashback mi ha fatto ritornare in mente lo studente di Piazza Tienanmen davanti al carro armato. No, il mio pensiero è rivolto ai bambini (si, c'erano anche molti bambini) che nel frattempo, in una via laterale a Piazza Indipendenza, venivano fatti salire a bordo di un pullman assieme ai loro genitori con destinazione, a noi e forse anche a loro, ignota. Occhi impauriti, tristi, sconsolati, disorientati. Bambini che stavano per lasciare per sempre quella che tuttosommato era stata per quattro anni la loro casa quantunque si concentrasse in una stanza di due metri per tre. Chissà dove li sistemeranno, semmai li sistemeranno davvero. Forse li ammasseranno in uno di quei molti centri di accoglienza disseminati lungo la Penisola ma già stracarichi di disperati e pronti ad implodere. Di sicuro, non avranno, quantomeno nell'immediato, un alloggio confortevole, nè la vita dignitosa che i loro genitori, scappando dall'Africa, dalle guerre e dalla povertà sognavano per loro, cioè per i figli, ma anche per se stessi. Che Dio, Allah e tutti gli Dei dell'universo li proteggano. Auguriamoci che non siano oggetto, o vittime, fate voi, di ulteriori sfratti.
Purtroppo è questa una triste realtà: non siamo preparati ad accoglierli adeguatamente. Non possiamo accoglierli tutti. Non sappiamo dove accasarli, nè tantomeno siamo in grado di offrire loro lavoro, sicuro, garantito, onesto, assicurato. Proprio quelli di Via Curtatone li vedevi stazionare, seppure in grande tranquillità, davanti la piazza, nullafacenti, probabilmente "mantenuti" grazie alle 30 euro giornaliere garantiti loro dallo Stato. Non è questa una giusta accoglienza.
Non basta lo spirito cristiano e caritatevole di Papa Francesco a risolvere il problema, che, visti i numeri (i 400 di via Curtatone ne sono solo un'infinitesima parte), è un'emergenza enorme, senza soluzione immediata. E' vero, in Francia e in Germania, cosi come in Inghilterra, vi sono molti piu' immigrati che in Italia. Ma li sono arrivati scaglionati nel tempo, nei decenni, addirittura nei secoli. No, qui da noi stanno arrivando tutti in una volta e nessuno in Europa li vuole, alzano muri e barriere, chiudono le frontiere, le militarizzano per impedirne il passaggio sul loro territorio. E questi disperati alla ricerca dell'Eldorado europeo approdati in Italia sono già centinaia di migliaia e rischiano di diventare milioni se non si riuscirà a bloccare gli sbarchi e la tratta schiavista che ci sta dietro. Faranno tutti la fine di quelli di via Curtatone e ciò fa male al cuore se uno un cuore ce l'ha.
Poi leggo su Facebook che un collega, senza citarmi, mi da del razzista per via di un mio precedente post ed allora comprendo che un ulteriore ostacolo ad affrontare il problema per quello che è, in termini realistici e obiettivi, oltrechè umanitari, è rappresentato dalle banalità retoriche e dai luoghi comuni generati da una certa mentalità salottiera, radical chic e psuedo buonista di cui purtroppo è pregna la nostra Italia. Meno male che il ministro Minniti, a differenza della Boldrini, ha dimostrato di esserne immune.