Stiamo suonando e cantando dai balconi, anche da quelli virtuali come lo sono i social. Un rito collettivo che dura ormai da dieci giorni e che si sta replicando altrove in Europa e nel Mondo.
Siamo stati gli apripista planetari di un atteggiamento che non vuole essere mancanza di rispetto per quanti sono gia' morti e per quanti stanno lottando per salvarsi la vita. È un solo un rito propiziatorio, un modo come un altro per esorcizzare la paura, per non sentirci soli contro un nemico invisibile, subdolo, infame.
È anche un incoraggiamento per quanti sono costretti ad uscire di casa per garantirci la sopravvivenza, per tutti coloro che stanno mettendo a rischio la loro vita per garantire la nostra. Siamo come una curva da stadio che canta per sostenere la propria squadra del cuore. E la nostra squadra del cuore in questo momento si chiama Italia, siamo noi stessi.
Ma dopo dieci giorni i numeri cominciano a farsi tremendamente seri e ci inchiodono ad una realtà da incubo che mai ci saremmo aspettati di vivere. Sto stramaledetto virus ci ha sbattuti fuori dalla nostra comfort zone. Le certezze di sole due settimane fa non sono piu tali. I nostri capisaldi psicologici, individuali e collettivi, stanno scricchiolando e la paura, quella vera, sta facendosi largo dentro di noi. Avanza, piano piano ma avanza nella stessa misura in cui passano i giorni e nella stessa misura in cui dentro ciascuno di noi cresce la consapevolezza che forse nulla sarà più come prima.
Non si teme solo per la propria vita e per quella dei propri cari, ma anche per il nostro benessere e per quello dei nostri figli. Inutile nascondercelo: se tutto questo durerà a lungo, non qualche altra settimana, ma addirittura mesi, il rischio non è solo quello di vedere allungarsi notevolmente la lista dei deceduti, ma anche quello di raccogliere macerie dal punto di vista economico.
Forse ciò che temiamo di più è proprio questo, considerato che come al cospetto di qualsiasi altra malattia anche questa la stiamo vivendo come un fenomeno che riguarda gli altri e non noi, fin quando, Dio non voglia, all'improvviso non ne saremo colpiti. C'è in ciascuno di noi, quelli sani, quelli senza alcuna patologia pregressa, la recondita speranza di potercela comunque fare, di potercela comunque cavare come fosse una banale influenza anche se non lo è. Ci attacchiamo ai grandi numeri i quali ci dicono che la stragrande maggioranza di noi ne uscirà indenne.
Si teme invece il dopo ed è un timore questo che invece riguarda tutti. Molti tra noi sebbene ancora in piena salute sono già in sofferenza economica. E piu' passerà il tempo piu' questa condizione di difficoltà si espandera' a macchia d'olio ancora piu' velocemente di questo stramaledetto virus mettendo a rischio l'intero sistema paese. Si respira aria di guerra e per le strade non a caso comincia già a vedersi l'esercito.
Ma avere paura non serve. Farsi battere dalla paura complicherà solo il tutto, ci renderà ancora piu' impotenti rispetto ad una vicenda che rischia di lasciarci nudi di fronte a noi stessi.
Vietato dunque avere paura, se non nella misura in cui serve a renderci consapevoli che tutto comunque non finirà qui e che anche cadendo ci si potrà rialzare. Lo hanno fatto i nostri nonni e i nostri genitori dopo la piu' devastante guerra che l'umanità abbia mai visto. Lo potremo fare anche noi.
Vietato avere paura, anche perchè non possiamo non riporre fiducia nella scienza, nell'incredibile progresso raggiunto, nel fatto che nel chiuso di un laboratorio, ne sono certo, qualche eroe starà già mettendo a punto il vaccino che distruggerà il nostro nemico.
Buon week end Italia per quanto sarà possibile. Una preghiera per quanti ci hanno già lasciati e per quelli che stanno lottando contro la morte, ma non smettiamo di sperare.